A cura di Matteo Martignani

Si sono concluse da poco le Olimpiadi di Tokyo. Queste Olimpiadi rimarranno nella memoria collettiva degli italiani per le splendide 40 medaglie, tra cui 10 d’oro che l’Italia multietnica ha fatto proprie con emozione, tenacia, unità e senso di appartenenza.

Speriamo che molti ricorderanno anche le parole di denuncia di Simone Biles, la ginnasta “più grande di tutti i tempi”. All’inizio dei Giochi, colpita dal pesante fenomeno dei “twisties”, ha sospeso la propria partecipazione alle gare affermando di voler dare priorità alla sua salute mentale. È poi tornata in pedana per la finale di specialità alla trave, in cui è peraltro riuscita, lasciando il mondo sbalordito, a salire sul podio.

Quanta umanità nelle parole e nella storia di Simone Biles! Il pubblico aveva avuto modo di conoscerla come atleta “invincibile” a Rio de Janeiro e, come per tutti i grandi dello sport, aveva pensato che lei fosse una supereroina, negandole così di fatto, senza rendersene conto, il diritto a provare ogni tipo di emozione negativa o problematica.

A Tokyo Simone ha scosso il torpore delle coscienze, senza che i media come spesso accade (lo eliminerei) mettessero debitamente in risalto il suo racconto.

Peraltro, non si può escludere che una parte delle difficoltà che oggi incontra sia dovuta agli anni di abusi subiti dall’ex osteopata della nazionale statunitense di ginnastica artistica Larry Nassar: un caso emerso nel periodo del “Me Too”, facendo venire alla luce tutto l’orrore che si celava dietro le perfette performance internazionali delle ginnaste migliori del mondo.

Oggi le problematiche mentali sono ancora sinonimo di solitudine: si cerca di negarne l’esistenza o di farle cadere nell’indifferenza o si sostiene che coinvolgano poche persone disadattate o avulse dal contesto sociale. Così nemmeno se ne parla, ghettizzando una condizione sempre più diffusa e alimentando un circolo vizioso di scarsa conoscenza e diffusa disinformazione.

In realtà, tali problematiche coinvolgono molte più persone di quanto si pensi. Anzitutto le fragilità mentali non sono tutte uguali: come nelle altre patologie, esistono forme più o meno gravi. Spesso dimentichiamo che le persone con disturbi di questo tipo sono esseri umani con la propria storia, i propri affetti, il proprio background e i propri sogni, che lottano ogni giorno per conquistare una presunta “normalità”, spesso celando al mondo i propri malesseri.

Per questo, oltre ai trionfi sportivi meritati dell’Italia, dobbiamo ricordarci che queste sono state anche le Olimpiadi di Simone Biles, che ha avuto il merito di portare questo argomento all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Qualcuno penserà che si tratti dell’ennesima forma di debolezza pubblicizzata; al contrario, questa atleta ha mostrato a tutti l’importanza di parlare apertamente di questi temi, di abbattere lo stigma, di fare informazione e di promuovere l’approfondimento di fenomeni così complessi. 

La sua, infine, non può e non deve restare “una voce che grida nel deserto”, ma deve rappresentare un passo avanti verso una consapevolezza diffusa, verso una cultura della comprensione e dell’inclusione.

Come FutureDem ci stiamo impegnando con un apposito progetto, al fine di dare voce alle tante Simone Biles che non hanno un podio internazionale dal quale raccontare la propria storia, affinché nessuno, ma proprio nessun cittadino, rimanga indietro o si senta solo.